venerdì 10 novembre 2017

chi ha paura dei racconti?

I racconti sembrano un'ottima cartina di tornasole per capire alcune nostre contraddizioni. In generale pensare di proporre a case editrici di piccola-media levatura una raccolta di racconti equivale a proporsi come astronauta alla Nasa. La probabilità che accettino di buon grado di pubblicarla, al netto del gusto soggettivo o della intrinseca qualità della stessa, è molto vicina allo zero. La reazione è spesso un'alzata di spalle, un sospiro, uno sgranare gli occhi come a dire (ma poi lo dicono): Racconti? In Italia? E chi li legge? Ma perché un lettore italiano, già razza difficile da trovare in natura, ama così poco leggere i racconti di un altro italiano? Mancanza di fiducia? Invidia? Paura di rapportarsi col troppo simile da sé? Magari la consapevolezza della quantità di aspiranti scrittori esistenti a fronte dei pochissimi lettori o studiosi? Forse lo spaesamento di fronte a una proposta esorbitante per una nicchia di mercato infinitesimale? Nessuna delle precedenti mi soddisfa totalmente come risposta. Per questo, nell'annunciare la mia uscita proprio con una raccolta di racconti, da italiano e sconosciuto che sono, voglio anche ribadire che i racconti non sono una scorciatoia per chi non è capace di elaborare storie lunghe e strutturate. In questo caso, sarebbero una trappola mortale, dalla quale si salverebbero in pochi. I racconti sono una via maestra verso la creazione letteraria e narrativa. Sono flash, impressioni, possibilità che possono anche tornare più e più volte su un tema senza mai esaurirlo. Rispetto al romanzo classico hanno il vantaggio della 'serialità'. Sì, il racconto si presta ad affrontare certi temi e non esaurli mai completamente, dando la sensazione di poterli sviscerare da differenti punti di vista. In una raccolta si ha spesso la sensazione di avere a che fare con la stezza bozza di quadro sviluppato in modi all'apparenza completamente diversi. Come in fondo la nostra vita è solo apparentemente uguale a se stessa tutti i giorni. In un racconto c'è un'immediatezza che arriva a toccarci senza preamboli. E una raccolta ha il vantaggio della leggibilità anarchica, disordinata, per associazioni, saltando da un racconto all'altro anche e soprattutto senza seguire l'ordine in cui sono stati stampati. Proprio come quelle serie antologiche in cui ogni episodio (o stagione) è un elemento a sé, anche se inserito in un contesto ben preciso. 


Insomma, Quattro passi più uno è una eruzione inaspettata, mi ha preso un po' alla sprovvista e mi ha spinto ad approfondire un mondo che pensavo non mi appartenesse. Ci sono manie o idee fisse che vivono e proliferano in ciascuno di noi. Con Quatto passi più uno sono riuscito a raccontarne solo alcune, magari neanche le più pressanti o fantasmatiche. Ma di spin si tratta, vortici di energie inarrestabili che definiscono lo stato di ogni personaggio che ho descritto. La raccolta, un tempo lontano era concepita come un dialogo a due voci, tra me e una collega scrittrice, e doveva chiamarsi Il treno era in orario (ma io sono arrivato tardi). Il tema erano i treni persi, per caso o per volontà, ma anche l'impossibilità di scendere da un treno sbagliato che va in una direzione diversa da quella dove vorremmo andare o perché abbiamo cambiato idea troppo tardi, dopo che le porte automatiche si sono chiuse. Ne è rimasta una traccia nel racconto omonimo. Ma nel momento in cui sono rimasto solo con in mano questo unico racconto di quello che doveva essere il progetto... è successo qualcosa dentro di me che quelli che leggeranno la raccolta forse coglieranno.